Di chi è la colpa? Di chi è la responsabilità?
L’articolo è stato pubblicato sul giornale dell’Associazione “Selbsthilfe – Auto Aiuto”, Nr. 1/2016.

Un percorso di guarigione viene affrontato da familiari e malati contemporaneamente, ma non nello stesso modo. Il malato all‘inizio è probabile che concentri la sua rabbia, il suo senso di impotenza, la sua frustrazione su chi gli è più vicino, cioè i familiari.

La colpa dello star male è attribuita ai genitori e i pensieri più frequenti sono: “I miei genitori sono stati incapaci di educarmi, mi hanno trascurato, non mi hanno voluto bene… Anche i miei fratelli hanno fatto di tutto per escludermi. Nessuno mi ha mai apprezzato, nessuno mi capisce… Adesso sono loro che devono cambiare. Del resto non sono io che sono malato come vogliono farmi credere, sono loro che sono tutti anormali. Dal medico non ci vado, tanto sono tutti incapaci.”

In parallelo una madre apprensiva, o semplicemente spaventata e incapace di capire che cosa stia succedendo ed anche per non farsi schiacciare dai sensi di colpa, si carica di ogni responsabilità su quanto sta succedendo. L‘unico verbo che pare conoscere è “devo”: “devo pensare a lui/lei; devo portarlo dal medico; devo fargli prendere le medicine, in pratica se non sono io che risolvo tutti i suoi problemi, chi altro ci pensa?”

Così in un certo qual modo ciascuno tenta di evitare i cambiamenti. E‘ infatti difficile rompere le dinamiche familiari collaudate, quelle che hanno permesso finora di sopravvivere, se pure in modo precario. Inizia allora un periodo difficile, in cui la sensazione della propria debolezza fa stare molto male, ma non si è ancora capaci di riconoscerla.

Da parte del malato c‘è vergogna e rabbia per la situazione in sé: per non avere un lavoro, perché tutti dicono e sanno quello che deve fare l‘altro, perché il medico non da l‘aiuto che da lui ci si aspetterebbe, perché ci si sente soli, perché si teme il giudizio degli altri ecc. ecc.

I familiari alternano intanto momenti di speranza a momenti di auto rimproveri per quanto non sono riusciti a fare, per gli errori commessi… ma ogni tanto si scopre che al posto del “devo” incomincia ad apparire il “vorrei” per lui/lei – che stesse bene, che io potessi essergli utile… Si incomincia a capire che così non si può proprio più andare avanti. Solo allora da parte dei familiari, lentamente, con la scoperta e l‘accettazione dei propri limiti e con la ricerca di chi può aiutare a realizzarlo, inizia il cambiamento. E il cambiamento dei familiari diventa il cambiamento del malato.

Se i pensieri dei familiari sono diventati: l‘ho sempre aiutato troppo, adesso devo pensare anche a me, quelli del malato iniziano ad essere: se voglio guarire devo prendermi io la responsabilità della mia guarigione.

E finalmente si arriva da parte del familiare a pensare che: “Si, lo aiuto, ma solo quando è necessario e intanto cerco di diventare io più forte e smetto di credermi l‘unico/a responsabile della sua salute e della sua vita. Posso anche permettergli di cadere e star male, se è lui che lo vuole, e se io non ho più le forze per aiutarlo.

Da parte del malato: ho capito che i miei familiari hanno sofferto insieme a me e che hanno fatto quello che potevano. Adesso accetto e seguo le cure, finché ne avrò bisogno, e cerco di accettare la malattia e di prendere in mano la mia vita.

Come si leggerà nelle interessanti testimonianze che seguono, è il passaggio dal “devo” al “voglio e posso” che determina il cambiamento, che fa iniziare un nuovo cammino, quello verso la guarigione.

 

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